La seconda parte dell’intervento Moneta, Finanza, Economia e Potere: i fondamenti per un’analisi sistemica della crisi tenuto da Alberto Conti al seminario Moneta, Banche Debiti.
Come è andata a finire
I vari sistemi monetari aurei o Gold Standard succedutisi nella storia, fino all’ultimo sul dollaro abrogato nel 1971, si fondavano su questo ambiguo principio della moneta-merce in forma di banconota, garantita solo parzialmente da depositi in oro presso l’emittente. E’ in questo contesto che nasce il significato originale di “base monetaria”, definita come quella quota parte della moneta in circolazione realmente coperta da equivalenti riserve in oro custodite dall’emittente bancario, che poteva essere anche un privato cittadino concessionario di questo potere d’emissione, senza altra autorità derivante da cariche pubbliche di governo. Si osservi come in linea di principio la forma conferita a questa “base monetaria”, come quella di banconota cartacea oro-equivalente, è in realtà irrilevante ai fini della sua definizione, che è piuttosto di natura contabile per il banchiere. Il termine “base monetaria” identificava perciò quella parte di moneta circolante interamente convertibile in merce pregiata di pari valore, cioè la forma di denaro percepita come più “vera” e perciò accettata a vista da chiunque, la più “commerciabile” in un regime di moneta fiduciaria. Tutta la rimanente massa monetaria in circolazione, sia che fosse formalmente distinta oppure no, era di fatto emessa come sovrastruttura dinamica di questo solido pilastro detto base monetaria.
Un critico severo e controcorrente di tale sistema fu Ludwig von Mises, principale esponente della cosiddetta scuola austriaca, che nel 1912 definì il denaro proprio come “la merce più commerciabile”, come dire che il denaro in ogni sua forma è merce, senza eccezioni, e perciò la sovrastruttura di moneta debito-credito basata sulla sola fiducia è moneta falsa, che rende il sistema creditizio a riserva aurea frazionaria semplicemente fraudolento. In altri termini per Mises il denaro dev’essere prima guadagnato e se possibile in parte risparmiato, e solo poi si può impiegare il risparmio per finanziare l’azione umana creativa, generatrice di nuova ricchezza che alimenta così un’economia prospera e stabile in quanto autoregolata dalla ricchezza realmente presente nel sistema, a condizione che i mercati siano veramente liberi, soprattutto dagli effetti distorsivi di un’eccessiva ingerenza della inefficiente burocrazia Statale.
Ovviamente gli “austriaci” sono in aperta polemica coi keynesiani della spesa a deficit.
Dal 1971 per base monetaria s’intende invece la quota di moneta circolante emessa dalla Banca Centrale, in regime di monopolio conferito dallo Stato, principalmente in forma di banconote non più pagabili a vista dalla BC. Il criterio di fondo per definire la base monetaria M0 e gli aggregati successivi M1, M2, M3 di moneta in circolazione nel sistema degli utenti del denaro è diventato semplicemente il grado di liquidità, ovvero la facilità e la rapidità con le quali le diverse forma di moneta, aggiunte all’aggregato precedente, riescono a svolgere nei mercati reali il loro ruolo di mezzo di pagamento fiduciario, a cominciare dalle banconote anonime (integrate dalle monetine metalliche) percepite come le più commerciabili. In tal senso, all’altro estremo di questa scala della liquidità, anche i Titoli di Stato, che esprimono quasi tutto il debito pubblico, sono in parte considerati moneta in M3, proprio per la loro quota parte più liquida, quella a scadenza più breve, che normalmente è anche quella a minor fluttuazione di prezzo sui mercati dei bond.
Al tempo stesso però questi titoli sono anche strumenti finanziari, obbligazioni a rendimento garantite dallo Stato, che rappresenta ancora la massima forma di garanzia finanziaria disponibile, nonostante che gli incubi di default di alcuni Stati si facciano sempre più incombenti, come in effetti accadde all’Argentina.
Anticipiamo con una breve parentesi una domanda che qui sorge spontanea: e gli altri innumerevoli strumenti finanziari negoziabili in borsa (e OTC, Over The Counter, cioè negoziati al di fuori delle borse regolamentate) cosa sono? Nel gergo bancario non sono considerati moneta in circolazione, ma di fatto il gestore bancario ne rende possibile la convertibilità in moneta favorendo l’incontro in “tempo reale” tra domanda e offerta. La loro massa equivalente costituisce l’aggregato degli asset finanziari, necessariamente contabilizzati nelle banche, come ogni altra forma di moneta in circolazione. Anche le Banche Centrali ne acquistano giocoforza in cambio della base monetaria emessa, capitalizzandosi di pari importo. Tale aggregato è un multiplo a due cifre dell’intero PIL mondiale, a differenza di M3, il più grande aggregato monetario, che normalmente in ogni paese corrisponde invece ad una cifra simile al PIL. Se questo patrimonio finanziario venisse interamente monetizzato dal sistema bancario per riversarsi poi sui mercati fisici, si produrrebbero effetti iperinflattivi devastanti, dalle conseguenze paragonabili all’uso di una vera arma di distruzione di massa, oggi pendente come una spada di Damocle sulle nostre teste. Questi asset, più o meno potenzialmente tossici per la dose di rischio contenuta, sono il prodotto della finanza creativa, la cosiddetta industria del risparmio gestito, la branca più incontenibile e pericolosa per la stabilità del sistema bancario-assicurativo e monetario attuale, soprattutto se continua a prevalere una logica distorta del rischio bancario privato del tipo: “testa o croce”, se vinco io mi tengo il guadagno, se invece perdo paga lo Stato, perché sono troppo grande per fallire, provocherei il collasso sistemico. Chiusa parentesi, riprendiamo il discorso di fondo.
La grande novità storica del sistema vigente rispetto al precedente Gold Standard è che oggi questa moderna “base monetaria” nasce dal nulla, come denaro “fiat”, esattamente come tutto il resto della massa monetaria complessiva, costituita prevalentemente da denaro creditizio creato dalle banche commerciali in regime di riserva frazionaria obbligatoria ridotta ai minimi termini, dell’ordine del 2%.
La garanzia d’emissione di ogni forma di moneta si fonda quindi tutta sulla fiducia nell’emittente e più in generale nel sistema da parte degli utenti del denaro stesso, fiducia che si spera venga poi confermata dalla stabilità della moneta come mezzo di pagamento e riserva di valore. Perciò la definizione di von Mises non è più attuale, il denaro espresso dalla moneta ha definitivamente perso la sua connotazione originaria perfino nel suo zoccolo duro, la base monetaria emessa dalla BC, che non è più garantita da merce fisica incorruttibile e custodita almeno dal momento dell’emissione in poi. Oggi ad esempio basta la crisi di un mercato immobiliare locale e l’ipoteca sulla casa a garanzia di alcuni mutui insoluti si rivela del tutto insufficiente a “pagare” il credito precedentemente erogato, ceduto poi a terzi che infine lo reclamano. Questo genera sofferenza bancaria, bancarotta e sfiducia, esportabile opacamente ad es. all’interno di obbligazioni strutturate, la cui sopravvenuta tossicità può anche innescare una crisi sistemica globale.
Se è enorme la differenza qualitativa tra l’attuale “base monetaria” e quella definita nei precedenti Gold Standard, altrettanto rilevante è la sua contrazione storica quantitativa rispetto all’aggregato massimo della moneta circolante in tutte le possibili forme. Nei Gold Standard di più antica memoria la base monetaria a copertura aurea rappresentava una percentuale importante, spesso maggioritaria del circolante complessivo, ma al passare dei secoli questa percentuale si è progressivamente assottigliata, e dopo la caduta irreversibile dell’ultimo Gold Standard mondiale nel 1971, nel cambiare di significato si è ulteriormente ridotta, oggi a meno del 10% di M3, di pari passo alla contrazione della riserva frazionaria obbligatoria per il credito ridottasi come dicevamo fino ad un misero 2%, deciso a livello globale dai vertici bancari a Basilea. Il motivo di questa progressiva diluizione di lungo periodo a carattere esponenziale è presto detto. Al di là delle intenzioni dell’emittente, si tratta dell’esplosione dell’economia dei consumi di massa, resa possibile o forse inevitabile dall’uso di tecnologie di produzione di massa sempre più potenti ed efficienti. Ormai ogni momento della vita quotidiana individuale nei paesi economicamente avanzati è scandito dal consumo di merci acquistate tramite moneta, mentre l’autoproduzione di ciò che occorre per vivere quest’epoca del consumismo forzato è praticamente scomparsa. Neppure il bricolage risulta più conveniente in molti casi. La massa monetaria necessaria per monetizzare un’economia così articolata, complessa e ipersviluppata è talmente cresciuta che nessuna merce unica al mondo, tantomeno l’oro immagazzinato nei caveau delle banche, può più rappresentarne anche solo una quota minimamente significativa. L’oro è una merce come tutte le altre, e non ha senso alcuno elevarne a dismisura il valore specifico per inseguire il valore aggregato di tutte le altre merci scambiate sui mercati, a maggior ragione se poi l’incremento di massa monetaria emessa viene smodatamente gonfiato rispetto al necessario per l’economia reale, per finire risucchiato nel gorgo senza fondo del risparmio finanziario autoreferenziale. Per questo il 1971 è scolpito sulla pietra tombale del Gold Standard, anche se questa decisiva rivoluzione storica del principio su cui si fonda la moneta è passata sotto silenzio presso l’opinione pubblica.
Conseguenza logica di questa profonda metamorfosi evolutiva del denaro è la concentrazione dei poteri di politica monetaria nella Banca Centrale, che come una Nonna Papera coi suoi paperini, sempre più ipertrofici, agguerriti e instabili, costituisce un sistema bancario nazionale pervasivo, membro di una sottaciuta federazione mondiale di fatto, interconnessa in rete telematica alla velocità della luce e monopolista dell’intera gestione del denaro e dei suoi derivati. Federazione, o piovra, attualmente ancora capeggiata da Zio Paperon de Paperoni coi suoi dollari, per quanto impantanato in difficoltà crescenti nel mantenere questo ruolo autoproclamatosi a Bretton Woods nel 1944. La rivoluzione silenziosa del 1971, fine ufficiale del Gold Standard Exchange di Bretton Woods, non solo non ha interrotto le dinamiche monetarie inflattive dollarocentriche, ma le ha addirittura accelerate ed esasperate fino alle estreme conseguenze sotto gli occhi di tutti, compresa ahinoi la fallimentare parabola dell’euro, consumatasi nell’ultimo decennio, un vero primato d’instabilità a dispetto dell’ambiziosa definizione programmatica del patto costitutivo, il famoso “Patto di Stabilità” di Maastricht.
Ma cosa ha reso possibile questa accelerazione, consacrata anche politicamente dalla deregulation finanziaria degli anni ’80 targata Reagan e Thatcher? Proprio il venir meno del vincolo aureo come elemento limitativo naturale, come ponte riequilibratore tra l’economia fisica e l’economia di carta o finanza virtuale, come ultimo baluardo, anche solo simbolico o concettuale, alla tendenza espansiva della massa monetaria gestita dai banchieri, americani in primis che già da oltre un quarto di secolo prima del decreto Nixon del ‘71 stavano dollarizzando il mondo intero su un’ipotesi inverosimile di Gold Standard Exchange, oltre ad altri metodi imperiali geopolitici e di regolamentazione dei commerci internazionali.
In questo von Mises aveva visto giusto nello stigmatizzare la diabolica alleanza tra governanti e banchieri, oggi ulteriormente degenerata in totale sudditanza della politica alla finanza.
Il contratto di debito-credito tra due soggetti, che costruisce la moneta moderna, non ha, a differenza dell’oro, limitazioni fisiche intrinseche. Il debito delle popolazioni dipendenti dalla moneta può crescere quasi all’infinito, schiavizzandole preventivamente per le future generazioni, mentre il corrispondente credito accumulato a senso unico coi giochi finanziari più o meno sporchi da un’elite ormai dinastica, e dai privilegiati delle classi cuscinetto tra loro e il resto dell’umanità, la cosiddetta classe dirigente operativa in ogni ambito, conferisce a questi “signori” della moneta un potere assoluto, centralizzato al vertice della piramide sociale transnazionale. Un potere nascosto, che non ha bisogno di apparire in prima persona, di metterci la faccia per essere esercitato. Siamo in piena finanziocrazia per mezzo banche, o banchismo stegocratico, che va capito a fondo per poter essere superato senza morirne.
Non è solo un processo spontaneo, su questo si è incistata anche la truffa, che c’è ed è enorme e diffusa, ma occorre descriverla compiutamente per non cadere nella trappola dei falsi obiettivi. Uno di questi è nascosto nell’interpretazione non sempre equilibrata del signoraggio, che altro non è che il lucro derivante dall’emissione di moneta, un tempo anche aurea, oggi solo fiat. Proprio per l’importanza quantitativa del fenomeno preferisco affrontarlo in altra circostanza dedicata, con tutto il tempo necessario a chiarirne e discuterne i diversi aspetti tecnici, di principio e sostanziali, per non incorrere in ideologismi limitanti ai fini di una comprensione dei fenomeni aperta alle realtà che viviamo.
Ricapitolando, il core business del vecchio banchiere tradizionale, quello non ancora degenerato in moderno gestore di “Banca d’Affari”, è sempre stato quello di prestare soldi lucrandone gli interessi. Più credito riesce ad erogare il banchiere e più aumenta i propri utili. Ecco perché il superamento concettuale della moneta-merce, che pure era già stata abbondantemente diluita da moneta creditizia senza copertura alla fonte, si è tradotto nel trionfo della moneta fiduciaria unica, integralmente generata da varie tipologie di contratti di debito-credito poi negoziabili e riciclabili nei mercati finanziari, una scelta che però non rappresenta l’unica opzione praticabile.
La conservazione del vecchio concetto di “base monetaria” è chiaramente un falso ideologico, non l’unico, interpretato dalla Banca Centrale, diventata il centro di potere delle politiche monetarie: non solola BCè consacrata come monopolista legalizzato dell’emissione di “base monetaria” in misura insindacabile, ma vuol essere addirittura censore, arbitro e manipolatore dell’economia, manovrando la massa monetaria complessivamente circolante nel sistema anche tramite altri strumenti, altre leve di manovra quali il Tasso Ufficiale di Riferimento, la percentuale di riserva frazionaria, le regole bancarie, la funzione di prestatore di ultima istanza (altro falso ideologico), ecc. Il tutto però in un sistema ormai diviso in due parti separate, quella dell’economia fisica, con le sue leggi e i suoi limiti naturali, e quella della speculazione finanziaria, intenta a ingigantire smodatamente e autoreferenzialmente asset finanziari concentrati in poche mani, in grado di assorbire quantità spropositate di nuova moneta fiat, senza però che questa espansione, più virtuale che realistica, produca subito una corrispondente inflazione, o per meglio dire un corrispondente aumento generalizzato dei prezzi, stile Weimar, salvo parziali travasi di ricchezza monetaria in senso inverso, dall’economia di carta a quella reale, per motivi eccezionali, come un crollo di fiducia generalizzato. Questo doppio campo d’azione della moneta, uno reale localistico, l’altro virtuale globalizzato, invalida la stessa legge fondamentale dell’economia espressa dall’equazione PIL= Massa monetaria x Velocità di circolazione, sulla quale si basano anche le stesse politiche monetarie proclamate come anticicliche dalle BC, a dispetto dei risultati. Una legge che ha funzionato nello stimolare l’aumento del PIL in molte circostanze (Ford, Keynes), ma che è evidentemente riferita ad uno solo dei campi di gioco, quello reale, e soprattutto alle condizioni eco-ambientali precedenti alla saturazione del pianeta, i cui effetti cominciano a farsi sentire pesantemente. [Continua …]
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